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Recensione Francesca Mazzucato Magnificat Marsigliese
(recensione di Massimo Maugeri)
Ci sono libri che infastidiscono, altri che a stento riescono a intrattenere, altri ancora capaci di catturare l’attenzione e restituire qualcosa al lettore. E poi ci sono i Libri, quelli con la elle maiuscola, quelli che riescono a entrare sottopelle con la forza empatica e dirompente delle loro parole e la magia delle storie che contengono. Ritengo che “Magnificat Marsigliese”, il più recente parto narrativo di Francesca Mazzucato (edizioni Creativa, 2007, euro 10) rientri in quest’ultima categoria.
È il primo volume della collana “Declinato al femminile” che le Edizioni Creative hanno affidato alla direzione della stessa Mazzucato. Tre storie di donne, frammenti e amori. Tre racconti al femminile su temi forti narrati con l’abilità e la maestria di chi ha un rapporto privilegiato con la parola scritta e una grande conoscenza della letteratura. Perché va subito sottolineato che Francesca Mazzucato ha la capacità – dote rara persino tra gli scrittori – di forgiare frasi ri-plasmando le parole, riuscendo a disporle in sequenze inedite e fortemente espressive.
Chi recensisce un testo artistico come questo non può che limitarsi ad accennare a trame e soggetti per lasciare spazio al fluire di frasi e pensieri tratti dall’opera medesima.
Il primo racconto, Magnificat marsigliese, è quello che dà il nome al libro e svolge la funzione di coniugare la dichiarazione d’amore per Marsiglia e la tragicità di una malattia diffusa e terribile, soprattutto tra le giovani: l’anoressia.
“Marsiglia che sei città e sei frattura, con le labbra schiuse dagli arrivederci, con le case dalle terrazze dove ci puoi mangiare che aprono le braccia ai nuovi arrivati come alle spezie e al buon vino, Marsiglia con le mani serrate dagli addii, le facce spalancate dai ritorni, Marsiglia che sei di mare, di Corniche, di saliscendi, ma anche di carne e di pelle e di sangue e di labbra, di odori e di merci, di navi e di asfalto, quanto sai essere d’asfalto! Quanto sai raccontare di nostalgici fado d’amori perduti, su quell’asfalto smarriti, su quell’asfalto mischiati a drammi, inciampi, sciagure, affari e congiure.”
Il secondo racconto si intitola Las Cruces ed è ambientato in New Mexico. Qui si narra la storia scabra e intima di una giovane donna costretta a misurarsi con la realtà aspra, senza sconti, del luogo in cui vive e a rifugiarsi nell’amore incondizionato per il fratello: amore che pare sconfinare in territori promiscui.
“Las Cruces, New Mexico, dove ogni giornata è trascinata sul limite estremo e marchiata. Dall’odore di terra talmente secca che si striscia di feritoie. Marchiata senza scampo. Da lavori bastardi, orizzonti senza alberi, lattine di birra schiacciate col tacco dello stivale.”
(…) “Vivo qui, in questo schifo di posto. Las Cruces, idiomi attorcigliati e uomini la cui speranza del momento è riuscire a mettere insieme i soldi e comprare un pacchetto di sigarette, fumarle fino a bruciarsi le mani, dormire al caldo, scopare una di quelle ragazze nuove e sempre troppo pallide, le turniste del drive in. Che ci stanno, di solito, se gli paghi un panino. Devi fare un calcolo preciso, più sigarette o meno sigarette, cibo caldo e a letto senza femmina, oppure lo stomaco che brontola ma la scopata assicurata. Tutto non ci sta…”
E poi il racconto finale dal titolo emblematico: Grande male. Un racconto suggestivo e dal ritmo vorticoso incentrato sul tema dell’epilessia (il grande male, appunto).
“Grande male. Sono immagini da rimontare, era una cosa che avevo rimandato, segnato e cancellato nell’agenda della mente, ipotizzato una ricostruzione angolare, appuntita, mai circolare anche se è quella più semplice, quella su cui la mente lavora inserendo il pilota automatico. Spirali, su spirali, su spirali, su spirali su spirali e ancora spirali. Poi scivola, inevitabilmente, a rotta di collo fra detriti, scampoli, pezzetti, frattaglie. Ma tant’è.
(…) di fronte a quell'evento la solita paura (o ansia, o frattura piccola e impolverata) mi è sembrata paura di niente, paura per finta, paura per gioco, paura da farci una risata, paura da berci una birra con gli amici, grande male e avrei potuto prendere un aereo per un viaggio di 24 ore, rimanere chiusa in ascensore con due sconosciuti, farmi percorrere le braccia da insetti giganteschi e neri, avrei potuto consegnare le mie chiavi di casa per lasciarla pignorare a un uomo basso e in divisa (chissà da quale film, l'immagine ben nitida, angosciante, surrealista), avrei potuto mangiare funghi, accettare che l’assassino vestito di nero popolasse i miei incubi per tutti i giorni e gli anni a venire, gli avrei steso un tappeto, dato carta bianca, offerto un grimaldello, una chiave universale per tramutare nei soliti inseguimenti sudati e tremendi tutto quello che avrei potuto sognare per tutta la vita, glielo avrei regalato all'assassino che mi popola certe notti feroci fin dai sedici anni, avrei potuto, poi magari non si fa, poi magari si lascia stare, ma in quel preciso istante lo sentivo, tutto è apparso incolore, immateriale, inutile, non spaventoso, tutto il resto, tutto quello che non era ciò che stava accadendo.”
Una scrittura florida, quella della Mazzucato. Magmatica. Ricca di immagini e pensieri, di espressioni liriche, di variazioni inattese. Una scrittura che scuote; che passa dalla mano, dalla mente e dagli occhi dell’autrice per imprimersi sulla carta e avvolgere il lettore con scene vivide di carne e respiri. Una scrittura ipnotica che afferra gli occhi e la mente.
Ma c’è dell’altro. C’è l’amore per la letteratura, qui. Un amore testimoniato dalle molte connessioni culturali, artistiche e letterarie: da Jean-Claude Izzo a Louis Braquier, da Fabrice Plas a Samuel Beckett, fino a Kurt Nimmo. Il segno virtuoso di chi dalla letteratura ha preso e alla letteratura riesce a restituire con bravura e generosità.
Massimo Maugeri
www.letteratitudine.blog.kataweb.it
MAGNIFICAT MARSIGLIESE di Francesca Mazzucato
edizioni Creativa, 2007
pag. 132, euro 10
http://www.edizionicreativa.it
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