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Recensione Marco Giovenale
Il “segno meno” posto davanti ad un numero ne cambia la considerazione matematica, non la 'quantità', che viene resa negativa. Il titolo potrebbe alludere anche alla negazione del segno come semantica: essendo non-segno e segno-meno, la parola 'è' ma 'dice' e 'nomina' le cose che 'non' sono. Anche il sottotitolo (“parte di prosimetro”) fa pensare alla sottrazione di elementi dall’intero: in questo modo il libro “mostra sé”, ma non nei modi di una chiusura autoriferita ed egoistica. L’'essere' di una cosa sensibile è 'essere presente', non separata da chi la percepisce e la ama. Così l’assenza è antimetafisica e concreta, se è battezzata da un minimo di amore. Il vuoto è la mancanza di 'quelle' cose (“quell’abbandono, quella nicchia, il giro mal completato delle scale”, “un vano mancato”) e di 'quelle' persone, nella sensibilità di un io per il quale “la distanza / continua dentro”. Il libro si apre con una dichiarazione in prosa (“mi è stata sottratta una primissima forma che non ricordo”) e si chiude con un “sottratto”-“astratto”. Quindi composizione e comunicazione ad anello, cioè il 'segno' del controllo formale ed intellettuale sulla materia scritta e della 'necessità' di leggere questa poesia dal punto di vista del contenuto. Di mgiovenale
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